Il grande problema del sistema pubblico privato che presiede all’Export italiano è che troppi funzionari, docenti, consulenti, export manager più o meno temporanei non conoscono per niente la realtà delle piccole imprese.
Di conseguenza si continuano a proporre approcci e modelli organizzativi di export che per una piccola azienda non hanno alcun senso.
Si diffondono dati e statistiche di crescita entusiastica dell’export che non trovano alcun riscontro nella maggior parte delle piccole imprese italiane. Bisogna invece domandarsi perché da anni la percentuale delle imprese italiane esportatrici resta inchiodata al 2% .
Si è affermato nella promozione internazionale del sistema Italia un vero e proprio dogmatismo che è condiviso per comodità da ministeri, apparati e agenzie, università , associazioni, società di consulenza. Si parte da principi sui quali non si ammette dubbio, e si ricava da questi un sistema di verità, indipendentemente dai fatti e dalle esperienze.
Il fatto è che si parte dai principi export consolidati delle aziende medio grandi, che non sono gli stessi delle microaziende.
Ecco 4 dogmi da sfatare.
- Le aziende italiane sono troppo piccole per fare export e quindi devono fare i contratti di rete.
Non è vero. Ho decine di storie di successi esteri di microaziende italiane. I contratti di rete possono talvolta essere utili, ma più spesso sono pericolosi perchè tolgono alle piccole aziende l’arma della flessibilità. La verità è che i contratti di rete si fanno per ottenere agevolazioni e incentivi. Ma quello che va agevolato non può essere il contratto di rete in se, bensì la azione efficace sul mercato estero, singola o aggregata che sia .
2.il modello del piano operativo di export è uguale per tutte le aziende.
Come se le risorse, le strategie e gli obiettivi di una piccola azienda fossero gli stessi di una Barilla, Ferrari, Luxottica. Faccio business plan e export plan da 30 anni: ogni progetto va ritagliato sull’azienda e sull’imprenditore . Niente è più sbagliato che calare dall’alto modelli di scuola, magari copiati taglia incolla da vecchi bandi di altri tempi . Si fa perdere tempo e denaro, e si disperde il focus su falsi obiettivi. Per esempio che senso ha avvitarsi in lunghe analisi strategiche sul mercato tedesco, quando servono azioni immediate per sfruttare rapidamente input emergenti sulla piazza di Norimberga? .
3. per fare export servono gli export manager.
Un manager export nelle organizzazioni strutturate è indispensabile, ma in una piccola realtà può avere un impatto devastante. A parte il costo, non indifferente. Nelle maggior parte delle piccole aziende il management dell’export può essere ben governato dalla direzione aziendale. Quello che serve è impiantare in azienda, eventualmente in outsourcing, una funzione che si occupi sistematicamente e con metodo delle operatività sui mercati internazionali.
4.gli strumenti base per fare export sono le fiere e gli educational tour
Sono strumenti che costano sempre di più e rendono sempre di meno, soprattutto per i piccoli . Quanti operatori sono condannati a fare tappezzeria nei loro piccoli booth mentre i leader che attraggono il 99% dei buyer? Sono l’internet , le banche dati e i social i nuovi strumenti da padroneggare, soprattutto per le piccole aziende. Tecniche come il virus marketing o il guerrilla marketing sono nate per valorizzare le piccole imprese . L’intelligence sulle banche dati doganali ci fa scoprire chi compra cosa e da chi. Sempre più nei mercati comanda chi compra, anzi chi paga e le trattative sempre più spesso si generano dalle conversazioni online , dagli input degli italiani espatriati, da nuovi canali innovativi, dalle aggregazioni informali di aziende che scambiano e condividono risorse in modo destrutturato.
Serve un nuovo approccio export che non vediamo nei dogmi dell’export del sistema paese, che promette sostegni a milioni di piccole aziende ma di fatto lavora per l’export delle aziende medio grandi, che di sostegno non hanno bisogno.
Le piccole aziende devono fare tesoro delle risorse che hanno in casa e AGIRE senza farsi incantare dalla propaganda . Riappropriarsi dell’iniziativa. Trovare partner che li aiutino a ottimizzare gli scarsi budget e incentivi disponibili . Aprirsi a una nuova visione agile dell’export che sappia valorizzare la loro arma più potente: la flessibilità.
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