Ossia quando fare e NON fare export
Ci sono imprese e imprenditori per cui fare export proprio non è cosa.
Non c’entra la piccola dimensione imprenditoriale
Come ho gia avuto occasione di scrivere (vedi
http://blog.mercatiesteri.eu/export/piccole-aziende-e-mercati-esteri-la-dimensione-conta/post ) il fattore che fa la differenza non è certo dimensione.
Anzi, l’aria di instabilità futura che si profila sui mercati internazionali , mentre dissemina ansia fra le grandi organizzazioni, apre opportunità irripetibili proprio per le piccole aziende agili e dinamiche.
Resta il fatto però che moltissime realtà italiane adottano modelli e profili comportamentali che rendono estremamente rischiosa imprenditorialmente la scelta di rivolgersi ai mercati esteri, in quanto si configura quella che io chiamo la “sindrome Brancaleone”.
Ecco un piccolo repertorio di profili NON export , sintomatici di questa sindrome, con i quali imprenditori o consulenti possono confrontare la propria realtà e la propria esperienza:
Quelli che esportano per necessità e non per scelta.
In Italia la globalizzazione ha portato crisi, ma dai mercati esteri emergono opportunità che nessun imprenditore può ignorare. Però fare export deve essere una scelta ragionata e una ponderata scelta imprenditoriale sostenuta da una adeguata strategia di business. Non è una scialuppa di salvataggio cui aggrapparsi qundo le cose vanno male. Se no il rimedio è peggiore del male.
Quelli che si aspettano di esportare senza investire
Le vendite estere sono la conseguenza di un serio progetto commerciale estero. Dove a fronte di obiettivi specifici, misurabili, ragionevolmente raggiungibili in tempi adeguati, si allocano risorse coerenti, in casa e/o in outsourcing, in patria e/o all’estero. E i risultati arrivano solo se una volta posti gli obiettivi si attaccano con determinazione e e si sostiene l’attacco con la perseveranza e le risorse necessarie.
Quelli che cercano solo venditori esteri a provvigione
Sottocategoria del punto precedente. I migliori venditori a provvigione vanno da chi apre loro il mercato. A voi rimangono tutti gli altri , fino a quando non trovano qualcun altro che paga meglio il loro lavoro.
Quelli che si aspettano di esportare solo perche’ investono
Ne abbiamo conosciuto tanti, alimentati anche da certa consulenza che promette tanto e mantiene poco. Andare all’estero costa, e sui mercati lontani ancora di più. I soldi sull’estero vanno investiti con intelligenza e cautela, gradualizzati e focalizzati su target mirati. L’investimento è una scelta delicata sia nel budget che sull’allocazione : le risorse sono vostre , dovete trovare voi il giusto mix. Ricordate: non esiste la bacchetta magica e con consulenti e partner esteri state attenti: non sempre il medico e le medicine piu’ costose, o più conosciuti sono quelle piu’ efficaci.
Quelli che basta fare le fiere o i contratti di rete
Sottocategoria del punto precedente. Un piano di export basato solo su fiere e missioni o interamente affidato a una rete/consorzio equivale a un giro turistico. I contratti di rete possono essere una bella cosa perchè portano incentivi e vantaggi fiscali , ma se non vi costruite un vostro ruolo e una vostra strategia rischiate di stare in panchina a vedere giocare gli altri.
Quelli che il temporary export manager me lo finanziano
I manager nelle piccole aziende qualche volta sono necessari. Sia per l’organizzazione interna che per l’estero. Capita anche che te li finanziano. E’ come comprare un TIR. Qualche volta alle aziende conviene acquistare un proprio TIR. Ma se basta un furgoncino, o un padroncino esterno, o l’auto del titolare, che senso ha comprare un autotreno, anche se te lo finanziano?
CHE FARE
Se vi rispecchiate in uno di questi profili non è che dovete rinunciare all’export.
Non sia mai che dopo 30 anni in giro per il mondo sia io a sconsigliarvi.
A parte che se uno non ci prova non puo’ riuscire. E se non tentate avrete sempre il rimpianto di non averci provato.
Ma se il vostro approccio è uno di quelli che vi ho profilato rischiate la “sindrome Brancaleone”. Che vi porta a perdere soldi. O peggio ancora, a perdere mesi e anni di lavoro su iniziative perdute in partenza.
Fate una onesta autoanalisi dei vostri punti forza e debolezza. Chi dovrebbe comprare dall’estero i vostri prodotti? Perche’ ora? Perche proprio da voi? Magari fatevi aiutare, siamo in tanti, pubblici e privati, a offrire check-up gratuiti.
Verificate innanzitutto se veramente siete determinati ad esportare. Se sì CAMBIATE il vostro approccio facendo dell’export quello che deve essere, ossia una vera scelta imprenditoriale sostenuta da strategia e risorse. Non vi sarà difficile individuare le giuste azioni correttive.
Beppe Vargiu
MercatiEsteri.eu
ItalyBureau.it
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